Paolo Baraldi ci racconta il “suo mondo del fuoristrada” ed il suo lavoro. Baraldi è molto attivo come fotografo e giornalista; con le sue immagini, provenienti da tutto mondo, ci racconta le più belle competizioni di offroad. Ma scopriamo, con alcune domande, quale è la sua esperienza. www.paolobaraldi.com
"La fotografia, il fuoristrada ed i viaggi sono il mio stile di vita" - Paolo Baraldi
La fotografia è il tuo lavoro, quando hai incontrato quest’arte visiva?
Ero molto giovane, correva l’anno 1987 e avevo 20 anni. Grazie al padre di una mia amica mi sono avvicinato a questo mondo ed ho mosso i primi passi nella fotografia. La cosa mi è piaciuta! Ho frequentato corsi e soprattutto ho divorato i libri e le mostre dei grandi fotografi che hanno fatto la storia di quest’arte. Poi è stato fatale l’incontro, durante un workshop, come lo chiamiamo adesso, con Gianni Geron il quale mi ha introdotto al mondo del bianco e nero, della ricerca e sperimentazione. Conseguenza di questo periodo, sono state le mie prime mostre e la pubblicazione di un libro su Sesto Calende. Il paesaggio urbano era il mio principale soggetto. Proprio a Sesto sono entrato in contatto con gli artisti della Cesare da Sesto e grazie a Giona Rossetti ho conosciuto Giac Casale, si proprio il padre della cantante Rossana Casale. Giac, uno dei più stimati fotografi pubblicitari di Milano, mi ha preso sotto la sua ala e mi ha trasmesso tutto il suo sapere. In quel periodo ho anche lavorato con il grande Settimio Benedusi, muovendo i miei primi passi nella moda, e con l’eclettico Joe Oppedisano. Da qui il passo verso la libera professione è stato naturale.
Come è avvenuto l’incontro con il fuoristrada?
Diciamo che è stato casuale. Mi sono sempre piaciuti i grandi 4x4 ed i pick up americani ma a quei tempi non potevo permettermeli. Grazie al Lomazzo Fuoristrada mi avvicino a questo mondo e muovo i miei primi passi sugli sterrati. Da quel momento non ho mai smesso di fare offroad e fino al 2000 ho anche gareggiato nel TRAL, campionato lombardo, e nel Challenge.
Fotografia e fuoristrada, quando hai unito le due cose?
Beh diciamo che “l’unione” è avvenuta molto naturalmente. Ai tempi del Lomazzo Fuoristrada fotografavo per la moda e per la pubblicità e nel tempo libero scattavo durante le uscite. Fatale è stato l’incontro con un redattore di una rivista di 4x4 che mi ha chiesto del materiale per un articolo; da quel momento possiamo dire che fotografia e fuoristrada si sono “sposati” ed è iniziata la mia vita da fotoreporter di offroad.
Dicci qualche cosa di più sul tuo lavoro…
Cosa posso dire? Che lo amo e che non posso farne a meno. Quando sono in giro per il mondo a fotografare eventi e gare mi sento nel mio habitat naturale. Se potessi, passerei tutto l’anno in viaggio e devo ritenermi fortunato perché la mia famiglia mi ha sempre appoggiato e non mi ha mai fatto pesare la mia assenza da casa. Grazie Paola, Stefano e Davide.
Come si svolge una tua giornata tipica?
Veramente sono due, e molto differenti le mie giornate tipiche. Se sono in Italia, passo la maggior parte del tempo in ufficio ad editare le fotografie, a scrivere gli articoli, a realizzare in esterna gli articoli tecnici e ad occuparmi di OFFROAD Lifestyle. Quando invece sono in “missione” tutto cambia. Sveglia presto per essere sul percorso prima dei concorrenti. Passo tutta la mia giornata fotografando e poi alla sera si rientra alla base per preparare le immagini per la pubblicazione. Ecco, anche se veramente faticoso perché spesso gli orari sono improponibili, questo è quello che veramente amo fare.
Quale è stata la tua prima gara internazionale?
Per questo devo ringraziare il fato. Come per quando ho mosso i miei primi passi nel mondo della fotografia, anche in questo caso ho avuto la fortuna di conoscere delle persone giuste ed importanti. Fu infatti il collega, ora amico, Damiano d’Ambrosio a presentarmi Mr. Luis J. A. Wee. Si la mia prima gara internazionale è stato il Rainforest Challenge.
E dopo il Rainforest Challenge?
L’esperienza in Malesia mi ha cambiato notevolmente, ho capito che fuori dai confini italiani c’era tutto un mondo da scoprire e da raccontare. Sono tornato più e più volte al Rainforest Challenge ed ho seguito per Luis anche molte gare della Global Series: Cina, Sri Lanka ecc. Poi, autofinanziandomi ho iniziato ha seguire altre competizioni come la Breslau e la King of the Hammers in California.
Come hai fatto a passare da fotoreporter per le riviste a fotografo ufficiale dei più importanti eventi internazionali?
Preciso che ancora oggi, oltre a seguire queste gare per OFFROAD Lifestyle, continuo a collaborare con le riviste cartacee in Italia ed in Europa. Tornando alla domanda, sinceramente non lo so come è avvenuto questo passaggio. E’ stato naturale. Credo perché anno dopo anno gli organizzatori, che ringrazio, mi hanno conosciuto meglio, hanno visto come lavoro ed hanno apprezzato le mie fotografie. Si è trattato di una stima reciproca che è naturalmente sfociata in una collaborazione.
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questa professione?
Prima di tutto bisogna avere tanta passione ed amare profondamente questo tipo di professione. Se cercano la ricchezza questo non è il lavoro adatto a loro. Poi, e questo è veramente importante, ricercare sempre la qualità, essere originali, essere professionali ed avere un proprio stile. Imparate la tecnica fotografica e quando l’avete assimilata dimenticatevene; fotografare deve essere un gesto naturale, uno stile di vita. Quello che fa la differenza è il vostro modo di guardare il mondo.
Tu che hai lavorato in molti paesi, trovi delle differenze con l’Italia?
Purtroppo si, mi dispiace dirlo ma sono enormi. Basta solo mettere piede fuori dai nostri confini e si nota subito e più ci si allontana più è diverso ed in meglio. Trovo che ci sia molto più rispetto per questa professione e che la qualità e non il prezzo sia la discriminante nella scelta di un fotografo da parte di un organizzatore o di una rivista. Sicuramente l’America è il paese dove tutto questo è più evidente. Loro, da tempo, hanno capito quanto sia importante la comunicazione e la comunicazione di qualità fatta da professionisti stimati. Proprio per questo sono molto onorato che persone come Dave Cole, King of the Hammers, Emily Miller, Rebelle Rally, e Nicole Pitell Vaughan, Total Chaos, che mi hanno voluto nel loro staff. In Europa, personaggi molto vicini a questa mentalità sono sicuramente Richard Crossland di Ultra4 Europe, Alex Kovatchev della Breslau Series e Jurgen Funke di Europa Truck Trial.
L’avvento di internet e poi dei social ha cambiato il mondo della comunicazione e dell’editoria?
Sarei un pazzo a negarlo. Si certo tutto è cambiato e tutto è diventato molto più veloce. Non so se vi ricordate della “fake news” della Guerra dei Mondi di Orson Wells andata in scena alla radio americana proprio mentre questa muoveva i suoi primi passi? Tutti dicevano, senza entrare nel merito dell’attuale problema delle notizie false, che la radio avrebbe ammazzato i quotidiani di informazione. Così non è stato come così non è stato con la televisione e come così non lo sarà con internet. Credo che bisogna solo adeguarsi ed aggiornarsi. Cosa intendo dire: il web ed i social esistono e non nego che abbiano cambiato ed influenzato la comunicazione. Ora molte notizie si bruciano nel giro di poche ore ed ecco perché la carta stampata dovrebbe sempre di più diventare approfondimento di qualità. L’ideale? Far convivere sotto un’unica testata le due realtà. Concludo con una critica ad uno che ad oggi è il principale veicolatore di notizie: facebook. Un suo difetto è sicuramente la perdita della qualità sia nei testi che nelle fotografie e nei video. Intendo dire che si divorano un’infinità di messaggi con “mi piace” e “share” spesso messi quasi automaticamente senza soffermarsi a pensare alla qualità. Ecco questo è la morte del mio lavoro. I social, oggi, sono indubbiamente il principale mezzo per veicolare l’informazione ma quanti veramente li sanno usare nel modo corretto? Quanti conoscono la vera differenza tra un profilo personale, un gruppo ed una pagina e di conseguenza come usarli?
Hai riscontrato altre differenze tra Italia ed estero?
Si, devo dire di si. Non prendetemi per una persona che non ama il proprio paese, anzi… Mi piace però essere obiettivo! Uno dei grandi difetti del fuoristrada italiano è la divisione. Quanti fuoristradisti ci sono nello Stivale? 10000? 15000? Pensate se fossimo tutti uniti invece di litigare spesso per il proprio orticello. Altra differenza riguarda anche le aziende. Lo so che lo stato attuale dell’economia è difficile ma credo che in molti settori sia importante abbandonare il fai da te ed affidarsi a professionisti. Cosa voglio dire? Se sei ingegnere non puoi certo essere giornalista e cosi via dicendo. Per finire, mi è venuta a noia la parola “passione”. Schermandosi dietro questo concetto tutto è permesso, tutto è scusato e tutto è lecito. La passione è sicuramente molto importante, anzi fondamentale, sia per una professione che per un hobby ma non basta. Passione, Professionalità, Serietà e Qualità sono i quattro elementi che fanno la differenza sia che si stia facendo qualcosa per passatempo che per lavoro.
Ed infine, prima di salutare i nostri lettori, perché usi molto il bianco e nero?
Si è vero, amo il bianco e nero! Anche se ultimamente ho notato che in tanti anno iniziato ad fare lo stesso. Non è vero che il bianco e nero sia una forma arcaica o primordiale di fotografia, per me è la fotografia! Eliminando i colori si va diretti all’anima di una persona o di un immagine. Si eliminano tutte le distrazioni e ci si concentra solo sulle emozioni. Amo molto il bianco e nero nei ritratti, mi permette di entrare nell’aura personale ed emozionale del soggetto. Per fare questo non basta però il bianco e nero, un buon ritratto lo si ottiene solo se si instaura un rapporto di complicità e fiducia con la persona che si vuole fotografare. Se posso, vorrei fare un’altra piccola considerazione. Gli argomenti che abbiamo trattato in questa intervista, meritano una discussione molto più approfondita che mi piacerebbe fare con fuoristradisti, colleghi ed editori e perché no, mettere a disposizione la mia esperienza e le mie idee per provare a fare qualche cosa di nuovo come cerco di fare con OFFROAD Lifestyle che considero un ottima piattaforma per sperimentare la comunicazione nel mondo dell’offroad.
Grazie a chi ha letto questa mia intervista... spero vi sia piaciuta o almeno che sia stata fonte di riflessione e grazie a chi mi sostiene e supporta.